Descrizione
Il romanzo La folla (1901) è ambientato a Milano, lungo l’arco temporale 1867-1884, nel Casone del Terraggio di Porta Magenta, edificio fatiscente che ospita 484 famiglie. Scelta in fondo zoliana, quella di incardinare la narrazione su un solo ambiente, proposto come schermo, reale e simbolico, sul quale si accampano le storie di abiezione e di vitalità primordiale, di sacrificio e di ricerca del progresso, che identificano i processi sociali in atto. In una forma storicamente verosimile un ceto operaio, ancora solo episodicamente inserito nella dimensione di fabbrica, emerge e si stacca dalla massa sottoproletaria di emarginati, di sconfitti dalla vita. Romanzo antiletterario, è stato definito, per l’assenza apparente di una trama e di protagonisti. Ma protagonista è senz’altro la «folla», che opera non come entità collettiva, ma come costellazione di destini individuali. Da tale agglomerazione, numerica e anonima, dove i rapporti tra le persone sono assenti o violenti, si stagliano tuttavia profili più complessi, la cui intelligenza del reale sottolinea il passaggio «dalla folla alla classe» (Portinari): Giorgio Introzzi, borghese umanitario, erede della proprietà del Casone, la lavandaia Annunciata, già adolescente dalla spensierata libertà sessuale («fu di molti senza mai essere di alcuno»), poi fiera della sua indipendenza di donna, Giuliano Altieri, materassaio, che salda l’eredità ideologica paterna, di un solidarismo mazziniano, con la coscienza di classe di tipo socialista. L’unione finale tra Giuliano e Annunciata, che abbandona il marito Giorgio (il quale donerà loro il Casone affinché facciano edificare al suo posto un Palazzo del Lavoratori) è parsa contraddire la natura stessa dell’opera, di rivolta allo schema idillico del romanzo italiano: ma se è conclusione forse precipitosa, essa tuttavia riassume l’immagine di una lenta, ma sicura e non violenta transizione del ceto operaio alla coscienza di sé come cittadini, in contrasto con le false e grottesche accuse di tentata insurrezione armata diffuse, a Milano nel 1898, per giustificare la sanguinosa repressione militare.
Paolo Valera. Uscito dalle fila di quelle manzoniane «gente meccaniche e di piccol affare», che a metà secolo ormai rivendicavano libertà e giustizia sociale, Paolo Valera (Como, 1850-Milano, 1926) visse animato da un’indomabile passione etico-politica, conscio della dignità intellettuale e morale delle classi subalterne. Dapprima anarchico, poi socialista libertario, si formò nell’ambito della cosiddetta ‘scapigliatura democratica’, rivelandosi con il reportage ‘scandaloso’ Milano sconosciuta (1879). Presto affiancò alle inchieste giornalistiche le prime prove narrative, tra le quali il romanzo autobiografico Alla conquista del pane (1882) e lo sferzante Emma Ivon al veglione (1883). Testimone della spietata repressione dei moti per il pane nella primavera del 1898, da ultimo con La sanguinosa settimana del maggio ’98 (1907), pubblicò – in opposizione all’artefatta mitologia decadente del “superuomo” – il romanzo “naturalista” La folla (Milano, Tipografia degli operai, 1901), l’espressione più alta della sua narrativa. Anticolonialista, denunciò le stragi di civili in Libia (1911-12), e nel 1915 si schierò contro l’intervento italiano nel I conflitto mondiale. La biografia del capo del governo, Mussolini (1924) gli valse il sequestro da parte delle autorità fasciste, ma anche l’espulsione dal partito socialista. Morì il 1 maggio 1926.